[FM2014] Di generazione in generazione...
Cap. 2 – La grande occasione
Vittorio era un ragazzino simpatico e spigliato. Stava bene con tutti in qualunque situazione. Era diligente e ordinato, e a scuola se la cavava abbastanza bene, non aveva mai avuto voti eccellenti, ma nessuno si poteva lamentare del suo rendimento. Frequentava il Liceo Scientifico, ed era molto portato per la matematica e la fisica. Non digeriva molto le materie umanistiche e lo studio del latino sembrava uno scoglio insormontabile, ma tra alti e bassi riusciva a raggiungere la sufficienza anche in quella materia.
Nello sport continuava ad eccellere e la sua crescita era eccezionale. Per essere un estremo difensore non era altissimo, poco più di 1 metro e 75, ma aveva un’esplosività nelle gambe, un’agilità ed una reattività tali da sopperire alla statura. Aveva un carattere molto forte e non soffriva minimamente la pressione di giocare con avversari molto più grandi di lui. D'altronde aveva imparato presto a prender confidenza con i campi da gioco e con avversari fisicamente più forti di lui, fin da quando, a partire dai 10 anni, giocava regolarmente con il fratello, già maggiorenne, sui campi di calcio a 5 disseminati in città.
Quando, invece, giocava con i suoi di amici raramente stava tra i pali, visto che continuavano a ripetergli che “così le squadre non sono equilibrate” o “abbiamo solo un portiere” o cose del genere. In effetti era vero, con i suoi coetanei non c’era confronto, quindi lui in porta non ci andava, soprattutto perché non ce lo volevano. Questo gli ha permesso di acquisire, già in giovane età, una buona dimestichezza nel giocare il pallone con i piedi, che con l’evoluzione che stava prendendo il calcio diventava un valore aggiunto per un portiere.
Quando ormai aveva 16 anni, e già una discreta esperienza a livello locale, era ancora un ragazzino. Il più basso tra i suoi compagni di squadra, piccoletto e con un fisico che si stava formando, ma che aveva bisogno ancora di migliorare.
Fu nell’estate del 2001 che, completamente inaspettata, arrivò la grande occasione, quella che forse capita una volta nella vita. Era la fine di giugno quando si presentò a suo padre un osservatore del Perugia. Gli disse che voleva parlare con lui e con Vittorio e poi avrebbe dovuto parlare con i suoi genitori. La proposta in poche parole fu un tesseramento con i Grifoni. Lo avrebbero tenuto in prestito per qualche anno ad altre squadre della scuderia di Gaucci, la più papabile era la Viterbese, in serie C1, ma sarebbe stato tutto da valutare. Sarebbe stato affidato ad un tutore fino alla maggiore età e avrebbe concluso privatamente la scuola superiore.
Come potrete immaginare per un ragazzino di 16 anni appena compiuti l’entusiasmo per una proposta del genere era tanto. Faceva fatica a contenere le sue fantasie e mettere in ordine i suoi pensieri mentre nella sua cameretta aspettava che quell’uomo finisse di discutere i dettagli con i suoi genitori. Il colloquio durò poco meno di un’oretta, che a quel ragazzino, felice come una pasqua, sembrò non passare mai. Quando lo chiamarono per salutare quel gentile signore, il laconico “beh, mi ha fatto piacere conoscerti, in bocca al lupo per il futuro.” con cui si congedò voleva già dire molto. Poco dopo ebbe modo di parlare con i suoi genitori. Fu una discussione che andò avanti a lungo, ma di tutto quello che si dissero gli rimase impressa solo l’irruenza del padre quando gli disse “Non sei più un ragazzino, devi smetterla di vivere di fantasie! Il calcio non ti darà mai da mangiare!”.
Quella sera, quel ragazzino, pianse per l’ultima volta nella sua vita.
Cap. 4 – C’era un cinese a Palma
C'era una volta un cinese a Palma, dal passato incerto e dal futuro ignoto.
Tal Zhicai Song, socio del colosso orientale Cinamercato, venne un giorno a Palma Campania, paese dell'Agro nocerino-sarnese dalla tradizione calcistica rispettevole, e bussando alla porta del sindaco gli chiese di vendergli la squadra. Non se la passavano bene, i rossoneri, la scorsa estate. Fu proprio l'intervento del sindaco, insieme ad altri fedelissimi sportivi, a scongiurare il pericolo liquidazione raccogliendo in tempi record le liberatorie dei giocatori e una somma da versare alla Lega per l'iscrizione al torneo di C2. Risolte le pratiche del caso, restava da organizzare la squadra, nonché la società, per il venturo campionato.
Alla porta del sindaco De Luca, oltre a Song, bussò anche una cordata di imprenditori palmesi. Messe sul tavolo del Comune le loro proposte, gli interlocutori furono esaminati dal primo cittadino che "scelse" Song. Il cinese prometteva la B in quattro anni, un nuovo stadio eccetera eccetera. Si pensava al solito disco, si diceva che l'unica musica che piacesse a Song fosse quella che sarebbe venuta dalla costruzione di un mega centro commerciale nei paraggi dello svincolo Caserta-Salerno. E invece, nel giro di due settimane, ecco sfilare nel ritiro di Rivisondoli gente come De Cesare, Marra, Pisciotta, Visone, Sapanis, Sergi, Caruso. Tutti insieme e, soprattutto, tutti per la Palmese. La guida tecnica è affidata a uno dei santoni della C, mister Roberto Chiancone.
Il campionato prende inizio, la Palmese sebbene in ritardo di condizione per un ritiro cominciato solo ad agosto inoltrato riesce a sopperire alle difficoltà atletiche grazie alla tecnica del gruppo. La classifica viene gradualmente scalata, fra i tifosi l'entusiasmo cresce a vista d'occhio.
Song come Zamparini? Non tutti, invero, credono in questo misterioso personaggio sul quale presto si scopre pendente una condanna a morte per bancarotta fraudolenta nel suo paese. La gente è insospettita anche dall'epurazione dei vecchi dirigenti che uno dopo l'altro vengono allontanati, dando spazio a discussi personaggi che a distanza di poche settimane vanno via alla chetichella, così come erano arrivati.
L'atmosfera non giova alla squadra, che tra l'altro resta senza stipendi. La società non paga a fine mese, e così il giocattolo si rompe: cominciano gli scioperi, gli ultimatum dei giocatori, e di riflesso in campionato la squadra, specialmente lontano dalle mura amiche, è tutt'altro che impeccabile. Le levate di scudi di Song non convincono De Cesare e compagni, pronti a svincolarsi a gennaio una volta compreso che l'utopia orientale sarebbe rimasta tale. Lo stesso Song esce di scena, lasciando i palmesi nei guai, beffati e disillusi. E lasciandosi dietro il progetto di un "Maradona day" del quale doveva essere lui l'organizzatore. Fuoco di paglia.
Resta, invece, Palma con i suoi problemi. Pronta a scendere in campo per salvare la squadra cittadina, ma una cordata di imprenditori palmesi non sarà comunque in grado di porre riparo ad una campagna acquisti non sostenibile e a diversi altri debiti che nei mesi seguenti sarebbero venuti fuori. L'impero cinese finì nella polvere e così la Palmese.
Insieme alla Palmese morì definitivamente il sogno del nostro protagonista di farsi spazio da calciatore. In una stagione trascorsa a Palma Campania giocò solo gli ultimi 20 minuti dell’ultima partita di campionato. Per tutto l’anno non ricevette mai uno stipendio e quei pochi soldi che aveva messo da parte negli anni precedenti a stento gli bastarono. Così fu costretto, suo malgrado, a tornare a casa con la coda tra le gambe.
Cap. 5 – Il definitivo declino
Il ritorno a casa fu difficilissimo, la rottura con i genitori era ormai insanabile. Ormai quasi ventenne quel ragazzo deluso dai suoi sogni e dalla sua famiglia, e ormai sempre più solo, non poté fare altro che piegarsi ai dettami del padre. Iniziò a frequentare una scuola privata per prendere il diploma, e iniziò a lavorare come manovale in una delle tante imprese edili del posto. Il calcio ormai era solo un passatempo. Tornò a giocare nel campetto dove aveva iniziato, sulla terra battuta che ormai sembrava far tanto male ogni volta che la toccava.
Il quel periodo gli succedeva una cosa strana. Era sempre più svogliato agli allenamenti. Continuava a ripetersi che fosse la stanchezza del lavoro, ma la verità era che giocare al calcio non lo divertiva più.
“Il ruolo del portiere è il più difficile. Un portiere è solo in mezzo al campo, ha troppo tempo per pensare ai suoi errori e poche occasioni per riparare. Ha sulle spalle tutta la responsabilità della squadra e in mezzo al campo non ha nessun’altro su cui fare affidamento. Per questo devi saper essere forte e sicuro di te.”
Queste parole gliele aveva dette 5 o 6 anni prima lo stesso allenatore che lo guidava adesso, di nuovo sui campetti dimenticati da Dio. Queste parole gli tornavano spesso in mente durante le partite, ed ogni volta si ritrovava sempre più disarmato di fronte ai pensieri che gli riempivano la testa durante gli incontri. Infatti ultimamente durante le partite era sempre immerso nei suoi pensieri, gli si presentava spesso la storia della sua vita calcistica, e non vedeva l’ora che quei novanta minuti interminabili e strazianti terminassero.
Di lì a breve iniziò ad essere catturato dai vizi. Avevo preso a fumare e non c’era sera che non finiva al bar con una birra in mano. Ogni scusa era buona per saltare un allenamento e la forma fisica era sempre peggiore. A soli 23 anni si trovò ad essere riserva in terza categoria.
Le uniche soddisfazioni venivano, con la sorpresa di qualcuno, dagli studi. Subito dopo il diploma, a 21 anni, fu ammesso all’ISEF, dove portava avanti gli studi con buoni risultati, sebbene frequentasse solo i corsi e le attività obbligatorie. Agli allenamenti spendeva la maggior parte del suo tempo a confrontarsi con il suo allenatore, quello che lo aveva voluto in prima squadra a soli 14 anni e che ormai era quasi un padre.
Fu lui un giorno a dirgli “Sai quest’anno le iscrizioni al corso di allenatore dilettante sono pochissime. Prova a iscriverti, magari riesci ad essere ammesso. So che vale poco e non ti permette di allenare praticamente da nessuna parte, ma fossi in te ci proverei.”
Forse quel padre acquisito aveva capito per primo la reale attitudine di quel ragazzo che ormai, a soli 23 anni, aveva perso ogni interesse nel fare il calciatore.
Cap. 7 – Spazio ce n’è per tutti. Il mondo è grande, e a calcio si gioca ovunque
Era il suo allenatore che lo spingeva a restare nel mondo del calcio. Ormai erano 3 anni che non giocava più, si presentava solo ogni tanto agli allenamenti, ma non era neanche più tesserato con la squadra. Spendeva tempo a parlare di tattiche, dell’ala che dovrebbe spingere di meno e del mediano che dovrebbe coprire di più. All’allenatore piacevano le idee tattiche del ragazzo, e continuava a tenerlo informato delle panchine che saltavano in provincia, ma lui sembrava disinteressato. Ormai era assorbito dal vortice del lavoro e aveva perso le speranze di restare nel mondo del calcio, e pensare che solo poco più una decina di anni prima sarebbero stati in tanti a scommettere su di lui, e nessuno avrebbe mai pensato che a stroncare la sua carriera fosse stata una semplice delusione adolescenziale di cui ormai non ci si ricordava quasi più.
Così una sera al solito bar l’allenatore, prima di congedarsi, lo prese per un braccio e gli disse “Vittò tu c’hai tutte le carte in regola per fare ‘sto lavoro. Mi hanno parlato di un tizio che secondo me fa al caso tuo, chiamalo!” e nel dirgli queste parole gli passò un biglietto da visita.
Su quel biglietto c’era scritto “Alessandro Magni – Procuratore calcistico” un indirizzo di Lecco ed un paio di numeri di telefono. Lo mise in tasca senza badarci troppo, convinto che non gli sarebbe servito.
Passarono diverse settimane prima di fare davvero quel numero di telefono. A rispondere fu una voce giovanile e cordiale. I due al telefono si parlarono un po’ per mettere in chiaro la situazione. Da lì partì un monologo di quel procuratore, esperto nel piazzare italiani nei campionati del mondo. Parlò a lungo ma a Vittorio rimasero impresse poche frasi o frammenti.
“Se vuoi lavorare nel calcio, tu lo devi e lo puoi fare ovunque. E dal mio punto di vista la Serie A è la Serie A in tutto il mondo”
“Tu probabilmente in Italia non tornerai mai più da allenatore, ma è così importante per te? Se domani partiamo, e andiamo a giocare in Serie A in Bulgaria, poi dalla Bulgaria in Serie A in Grecia, dalla Grecia andiamo in Paraguay, dal Paraguay alla Svizzera, che ne sai poi che dalla Svizzera non ti si aprano i mercati di Francia e Germania? Perché mai poi rimarresti, per fermarti e supplicare di allenare in Lega Pro a un quarto di quanto guadagni all’estero? Se hai scelto che il calcio è il tuo lavoro, oggi ritengo che il tuo lavoro tu lo possa e lo debba fare dove hai gli sbocchi migliori”
“Per tante persone il fatto di sentire “Armenia”, “Bulgaria”, significa non avere un traguardo, è la fine del calcio, e invece c’è la possibilità che il calcio ti si apra in tante prospettive”
“Spazio ce n’è per tutti. Il mondo è grande, e a calcio si gioca ovunque”.
Come potevano tali parole non riaccendere un entusiasmo ormai sopito di fronte alle miriadi di porte sbattute in faccia? Fu così che dopo altri contatti telefonici ed un paio di incontri per definire le condizioni della procura, i due si misero in affari.
Cap. 8 - Una nuova speranza
I contatti con Magni, dopo aver concluso le formalità per la procura, si fecero sempre meno intensi, fino a sparire del tutto. Alle richieste di spiegazioni arrivavano risposte del tipo “ci sto lavorando” “adesso non è il momento” ma altre volte non ne arrivavano proprio. Ma proprio mentre l’entusiasmo stava per svanire arrivò finalmente la prima proposta concreta. In quel momento Vittorio non aveva nessun motivo per non mollare tutto e andare via. Aveva avuto una storia con una ragazza che era finita in malo modo, i rapporti con i genitori erano ridotti al minimo indispensabile, ed il lavoro non era assolutamente quello dei suoi sogni, beh in fondo chi sogna di impastare calcestruzzo in un cantiere?
La destinazione era l’Albania, in una squadra di una società petrolifera, la società petrolifera nazionale albanese. Ci si spostava a Patos, una cittadina di poco più di 20.000 abitanti. La dirigenza chiedeva un campionato dignitoso, ma non aveva grosse ambizioni. Secondo Alessandro sarebbe stato il posto ideale per iniziare a familiarizzare con il nuovo ruolo.
A Patos il campionato non fu propriamente esaltante. Tra alti e bassi la squadra finì a metà classifica, e il rinnovo proposto non convinse Vittorio, che archiviò frettolosamente l’esperienza albanese e si rimise alla ricerca di una nuova panchina.
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Cap. 9 – L’approdo in Boemia, le dimissioni e l’esonero tedesco
Dopo l’Albania fu il turno della Repubblica Ceca. Il trasferimento in Boemia, al Benesov, fu accolto con molto entusiasmo da Vittorio, che aveva ricevuto dalla dirigenza il via libera per programmare nel tempo. Così nel calciomercato estivo la squadra fu rivoluzionata, ma a fine stagione ottenne un deludente 12° posto
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Nella stagione 2015/16 si ripartì ancora da Benesov, forti dell’esperienza maturata durante la stagione precedente e dai nuovi acquisti arrivati durante l’estate. Nonostante i rinforzi le cose non girarono e dopo le prime 7 giornate il sogno di un campionato da disputare ai vertici della classifica si infranse contro i soli 5 punti conquistati. Vittorio in quel momento gettò la spugna e rassegnò le proprie dimissioni.
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Si presentò così l’occasione di allenare in Germania, in Oberliga. Al Rodinghausen.
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La compagine tedesca era allo sfascio. Dopo la retrocessione dalla Regionalliga la squadra era stata smantellata e non era più adatta a soddisfare le ambizioni di dirigenza e tifoseria.
Al suo arrivo Vittorio trovò una squadra che dopo metà campionato era all’ultimo posto.
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Riuscì a strappare la promessa di un rinnovo in caso di salvezza, ma non immaginava che la dirigenza non l’avrebbe rispettata. Così dopo essersi rimboccato le maniche e aver ottenuto la salvezza con ben due giornate di anticipo si vide dare il benservito dalla dirigenza tedesca.
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