Citazione:
di Giovanni Maria Bellu
Ecco, finalmente è arrivato il momento in cui si può dire (o non dire) "Je suis Charlie" senza avere il dubbio di pronunciare una frase retorica, ambigua, a cui ognuno può attribuire il significato che gli pare. Dubbio sostenuto dalla valanga di “Je suis Charlie” che, dopo l’attentato del gennaio del 2015, ha sommerso il mondo: “Je suis Charlie” di pura e semplice solidarietà verso un gruppo di lavoro sterminato dai terroristi; “Je suis Charlie” di appartenenza alla civiltà dei diritti e delle libertà; “Je suis Charlie” a vanvera, pronunciati solo perché lo dicevano in tanti ed era diventato di moda, “Je suis Charlie” che volevano affermare l’esistenza di un diritto assoluto alla satira.
Evidentemente questi ultimi erano una minoranza, come le reazioni alla brutta vignetta sul “Séisme a’ l’italienne” dimostrano. E come dimostra soprattutto il comprensibile – ma allo stesso tempo surreale – intervento dell’ambasciata francese: “Il disegno di Charlie Hebdo non rappresenta la nostra posizione". Come se fosse davvero possibile ipotizzarlo.
La vignetta sul terremoto all’amatriciana – col sangue che diventa salsa di pomodoro e gli strati di macerie sui corpi delle vittime che diventano lasagne – “fa schifo”, come efficacemente ha sintetizzato il presidente del Senato Pietro Grasso. Ma non fa schifo perché “offende i morti”. Fa schifo perché questa impressione prevale così tanto da rendere invisibile e incomprensibile il messaggio sottostante. Che, nelle intenzioni dell’autore, era probabilmente quello di denunciare la sciatteria, l’approssimazione, la criminale leggerezza che ha reso così devastanti gli effetti del sisma.
La satira non risparmia nessuno, nemmeno i morti. Nemmeno Dio, Maometto e i santi. E’ satira proprio per questo, per la libertà assoluta che si dà. E anche per i rischi terribili a cui si espone. Quello di finire nel mirino dei fanatici, e quello di fare figuracce planetarie come in questo caso. La vignetta di Felix è molto brutta perché dà alla stragrande maggioranza di quanti la vedono un messaggio diverso dalle intenzioni dell’autore. Tanto che quanti (pochissimi), la difendono si trovano costretti a spiegarne il senso. Non fa ridere, come non fanno mai ridere le barzellette spiegate.
Dire “Je suis Charlie” significa accettare il rischio. Cioè accettare la possibilità che la totale libertà di satira produca ogni tanto totali schifezze. Si accetta questo rischio perché si ritiene che la totale libertà sia la condizione per produrre opere sublimi. Esattamente come il genere umano, al quale appartengono – entrambi a pieno titolo - Leonardo Da Vinci e Adolf Hitler.
Il senatore Roberto Calderoli – difensore della totale libertà di satira sull’Islam – è rimasto molto indignato per la vignetta sul terremoto all’Italiana e si è affrettato a lanciare jenesuispasCharlie, non sono più Charlie. La verità è che non lo è mai stato, e se un pregio ha questa pessima vignetta è quello di obbligare gli ipocriti della satira a senso unico a dichiararsi. Per chi al tempo della valanga emozionale si fosse astenuto dal farlo, è arrivato il momento in cui finalmente gridare – senza più paura di essere fraintesi – “Je suis Charlie”.
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