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Discussione: [FM15] Once brothers

  1. #1
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    [FM15] Once brothers

    Chiudo gli occhi e rivedo quell'immagine. Il tackle dell'avversario, il ginocchio che si piega in maniera innaturale, il legamento crociato che si rompe, e una promettente carriera che finisce sul nascere.
    Avevo solo 17 anni, era un'amichevole tra noi dell'Haugesund, la mia città natale, e il Viking Stavanger. Ero un mediano di belle speranze, giocavo titolare e a quanto si diceva, avevo addosso gli occhi di squadre come il Rosemborg e lo Stabaek.
    Poi mio fratello Egil azzardò quell'intervento e finì tutto. All'inizio credo di averlo addirittura perdonato, non mi rendevo conto della gravità dell'infortunio, e a 17 anni ero convinto di avere tutto il tempo del mondo per tornare. Ma ogni volta che scendevo in campo facevo fatica, il ginocchio mi faceva male se solo provavo a palleggiare. L'Haugesund mi diede una seconda chance, ma poco dopo si resero conto che non ero in grado di continuare, che non potevo farcela. Provai una seconda volta, con l'Eik Tonsberg, una squadra poco sopra il livello dei dilettanti, ma non feci in tempo a giocare due partite che ero fermo nuovamente. In quel momento capii, e decisi di ritirarmi dal calcio giocato. Non avevo nemmeno 20 anni. Decisi di iscrivermi ad un'università ma fu tempo perso, non avevo voglia di studiare.
    Volevo restare nel mondo del calcio, se non potevo giocare, avrei allenato. Ma ero troppo giovane e nessuno mi avrebbe mai dato una chance.
    Nel mentre, guardavo le "prodezze" di mio fratello Egil, che era finito a giocare in Inghilterra, e solo allora mi resi conto che lo odiavo per davvero. Mi aveva tolto il futuro, non sarei mai stato in grado di perdonarlo veramente. Anche solo rivederlo ogni anno per le feste mi dava un fastidio immenso.
    Trovai lavoro come cameriere in un piccolo ristorante di Horten, una cittadina a sud della Norvegia. Non era quello che volevo fare, ma dovevo pur guadagnarmi da vivere. Divenni tifoso della squadra locale, l'Orn Horten, un tempo grande squadra, capace di vincere quattro coppe di Norvegia e anche un paio di campionati, ma che negli ultimi 30 anni non aveva conosciuto null'altro che la Oddsenligaen 2, la Oddsenligaen 1 e, in rari casi isolati, l'Adeccoligaen, la serie B. Ah. A Horten c'è anche l'Eik Tonsberg, la squadra che aveva provato a darmi un'altra chance. Erano poco più che dilettanti, ogni tanto andavo allo stadio a vederli, qualche tifoso mi riconosceva anche, ma quel tipo di calcio non mi piaceva.
    Non mi persi d'animo, comunque. A 25 anni iniziai a studiare per il patentino da allenatore e trovai impiego come allenatore delle giovanili proprio dell'Eik Tonsberg. E' buffo pensare come una squadra di livello molto basso come questa abbia un suo settore giovanile.
    Rimasi per 8 anni, poi, a 33, decisi che era il tempo di provare a dare una svolta alla mia carriera. Lasciai il posto di allenatore del settore giovanile e mi dichiarai pronto per una panchina vera, di una squadra senior.
    Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, però, e per due anni il telefono rimase muto. Avevo saggiamente messo da parte tutto quello che potevo del pur magro stipendio che l'Eik Tonsberg mi passava, ma anche quei risparmi stavano iniziando a scarseggiare.
    Poi, la svolta. Luglio 2015, suona il telefono, quasi non ci credo. L'Orn Horten vuole affidarmi la panchina. Sono reduci da una stagione disastrosa, con pur una buona squadra, pronosticata al 5° posto. La dirigenza vuole i playoff, se non addirittura la promozione, e vogliono un volto nuovo, qualcuno che possa portare una ventata d'aria fresca in squadra.
    Ma io non ci credo, non può essere così semplice. Chiedo ancora "perché io?" e a quel punto la verità viene fuori. Mio fratello ha telefonato alla dirigenza consigliando caldamente il mio nome. Egil è una sorta di leggenda in Norvegia, e l'Orn Horten ha accettato la sua proposta. Sono livido di rabbia e sto quasi per mandarli a quel paese e riattaccare, ma poi penso "E' comunque la mia occasione per dimostrare quanto valgo. Non importa se sia merito di mio fratello o meno se ho ottenuto questa panchina. Posso fare bene."
    Accetto. Ma è subito chiaro che non credono molto in me. Contratto annuale. Hai una stagione per fare bene, mi dicono, altrimenti sei fuori. Bene, un "ora o mai più" al mio primo incarico. Ma non mi do per vinto, la rosa è buona, e ho in mente come farla giocare. Mi manca solo un terzino sinistro, ma provvederò quanto prima. L'importante è iniziare, e ora, Erik Østenstad è in pista.

  2. #2
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    Niente Italia... seguo! Ma è vera questa storia dei fratelli Ostenstad?

  3. #3
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    Bella intro, seguo!

  4. #4
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    Niente Italia... seguo! Ma è vera questa storia dei fratelli Ostenstad?
    Beh, se lo è.. Non è voluto

    Che io sappia Egil non ha fratelli, men che meno fratelli calciatori/allenatori.. E' soltanto un pretesto che mi sono inventato

    La storia ad oggi è alla terza stagione, delle prime due, non ho praticamente niente, forse riesco a recuperare le classifiche finali.. Per il resto starà a me farvi conoscere protagonisti e match!

  5. #5
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    Beh, se lo è.. Non è voluto

    Che io sappia Egil non ha fratelli, men che meno fratelli calciatori/allenatori.. E' soltanto un pretesto che mi sono inventato

    La storia ad oggi è alla terza stagione, delle prime due, non ho praticamente niente, forse riesco a recuperare le classifiche finali.. Per il resto starà a me farvi conoscere protagonisti e match!
    Allora bellissima intro

  6. #6
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    Sono disteso sul letto del mio appartamento alla periferia di Horten. E' sera, ho appena cenato con una pizza piuttosto terribile, quando squilla il telefono. Allungo il braccio per recuperarlo e leggo il nome del chiamante. E' mio fratello.
    Sono combattuto, non so se rispondergli o no. Negli ultimi 7 anni non l'ho mai fatto, non ho nemmeno risposto ad un suo messaggio, ma suppongo che dovrei ringraziarlo per avermi aiutato ad iniziare questa carriera. Il telefono intanto continua a squillare, due, tre volte. Non è ancora il momento. Rifiuto la telefonata e appoggio il telefono. Guardo l'orologio, sono le 21:17, apro il computer. Domani devo dirigere l'allenamento alla mattina, l'ho già preparato. Decido di guardarmi un film, non ho voglia di visionare l'ennesima partita. Scelgo un action movie, tratto da un libro che ho letto "Jack Reacher - La Prova Decisiva".
    Non c'entra niente col libro, a tratti è anche noioso. Non è nemmeno finito il primo tempo che mi addormento sul divano.

    La luce di un tiepido e timido sole entra dalla finestra che ho lasciato aperta la sera prima e mi sveglia alle 7:20. Alle 8 devo essere al campo, vado in bagno, mi faccio una doccia e mi preparo. Arrivo in anticipo di una quindicina di minuti e vedo Mathias e Kristoffer sul campo, che si allenano per conto loro. Mathias Raade Olsen è il capitano e il portiere titolare della squadra, Kristoffer Silberg è un centrocampista, con ottimi piedi. Lui calcia punizioni, da varie distanze, e Mathias le para. Non sempre, ma le para. Sorrido, abbastanza compiaciuto, e loro mi vedono. Si interrompono, come se stessero aspettando degli ordini ma faccio loro cenno di continuare. Il resto della squadra nel mentre arriva alla spicciolata dagli spogliatoi. Alle 8 meno 5 sono tutti sul campo, fischio, e l'allenamento può iniziare. Sarà una sessione piuttosto leggera.

    Domani debutteremo in campionato. Le amichevoli sono andate bene, tutto sommato, ne abbiamo vinte quattro, pareggiata una e persa una, con una prestazione orrenda, contro l'Assyriska. Il modulo, comunque, un 4-2-3-1 votato all'attacco, sembra funzionare abbastanza bene. La mia filosofia è che è meglio fare un gol in più degli altri che cercare di prenderne uno in meno: a difendere ed aspettare gli altri spesso e volentieri finisce male. I ragazzi concordano più o meno tutti e si divertono, il clima è molto disteso e rilassato, non sembra quasi che domani ci giocheremo i primi tre punti della stagione.

    Finito l'allenamento mi chiama il presidente. Ivar è un tipo piuttosto burbero, con dei capelli lunghi e grigi, più attento al portafogli che ai risultati, ma finora la mia gestione finanziaria è stata impeccabile, non ha nulla da potermi rimproverare.
    Entro nel suo ufficio ancora in tuta e scarpini, e mi fa sedere.
    "Domani è il gran giorno, eh?"
    "Sì presidente, domani. Sono convinto che faremo bene"
    "Lo spero. Come vedi la squadra?"
    La domanda mi spiazza, Ivar non si è praticamente mai interessato delle condizioni della squadra, e non si è mai fatto vedere a nessun allenamento o partita. Da un lato apprezzavo questo distacco, mi dà mano libera per operare come voglio, ma dall'altro mi sarebbe piaciuto avere un presidente più presente.
    "La squadra sta bene. Siamo in forma."
    "Bene. Bene."
    Capisco che c'è altro, il presidente non può avermi chiamato solo per questo. Inarco un sopracciglio, in attesa.
    "Ha chiamato tuo fratello stamattina. Ha detto che non è riuscito a raggiungerti al telefono, voleva solo farti i complimenti per le tue prime vittorie."
    Ancora lui. Non capisco che cosa voglia da me. Ovunque vado, sono sempre perseguitato dalla sua ombra, il cognome che porto è un pesante fardello.
    "Va bene" mormoro, poi mi alzo e me ne vado, ignorando la voce di Ivar. Mio fratello. Sempre lui.
    Ultima modifica di Nocturnad; 09-06-2015 alle 16:52

  7. #7
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    In bocca al lupo!
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  8. #8
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    E' passato un mese dall'inizio del campionato. 8 partite, di cui 2 di coppa.
    Il morale è abbastanza alto ma i risultati sono altalenanti.
    In campionato abbiamo 3 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte, di cui una immeritatissima arrivata nei secondi finali di una gara dominata. Ma tant'è, il calcio è anche questo, e le partite vanno chiuse. Questo ruolino di marcia finora ci vale un 6° posto, che non è abbastanza per soddisfare la dirigenza, ma siamo appena agli inizi. In coppa siamo arrivati al terzo turno, obiettivo minimo della società, ci aspetta il Sarpsborg ora, compagine di Tippeligaen. Usciremo, ma tant'è, la coppa non ci interessa.

    A Horten è un mite pomeriggio di maggio, ho lasciato ai giocatori il giorno libero oggi e ho deciso di rilassarmi con una passeggiata su Lystlundveien, attraverso il parco, non lontano da casa mia in C. Andersens Gate. Non c'è nessuno in giro, sono le 9 del mattino e il sole splende sull'erba, creando bizzarri giochi di luce con la rugiada che si è depositata sull'erba nella notte. Mi accendo una sigaretta. Anni fa mi ero ripromesso di smettere, ma non ci ho mai pensato seriamente.
    Mi siedo su una panchina e chiudo gli occhi mentre fumo. Sento avvicinarsi un paio di ragazzi che fanno jogging, mi passano davanti noncuranti e se ne vanno.
    Come è strana la vita a volte. Quando ero giovane, mi dicevano tutti che avrei avuto un futuro radioso nel calcio, che ero molto più bravo di mio fratello. Avevo solamente otto anni, ed Egil quattordici. Giocavamo entrambi nelle giovanili dell'Haugesund, seppur in categorie diverse. Lui era un attaccante, era bravo sui colpi di testa perché era il più alto di tutta la squadra. Segnava tanti gol. A otto anni io non avevo ancora un ruolo ben preciso, ricordo che il mio allenatore mi aveva detto "tu giochi in mezzo", ma io non riuscivo a liberarmi dell'istinto di andare dove c'era la palla. Quante sgridate mi ero preso, me le ricordo ancora quasi tutte.

    Avevano iniziato a farmi giocare insieme a quelli più grandi, di dieci, undici anni. Soffrivo maledettamente sul piano fisico, non sono mai stato un gigante e anche oggi, a 36 anni, raggiungo a fatica il metro e ottanta. Però mi ricordo che avevano tutti paura di me, di questo ragazzino di otto anni che palla al piede era testa e spalle sopra gli altri. All'epoca non me ne rendevo conto ma credo che mio fratello fosse molto geloso. Non sopportava che considerassero un bambinetto di otto anni più bravo di lui, credo che nello spogliatoio lo prendessero in giro, gli adolescenti sanno essere terribili, e credo che lui fosse molto frustrato per questo. Anche se poi è andata come è andata e la carriera migliore l'ha avuta lui.

    Riapro gli occhi, la sigaretta ormai si è consumata fino al filtro senza che io ne facessi un solo tiro. La getto nel cestino vicino alla panchina, mi rialzo e ne accendo un'altra. In lontananza vedo un signore che porta a passeggio il cane, viene verso di me. Quando siamo a un paio di metri di distanza mi riconosce e mi saluta. Avrà una settantina d'anni, con pochi capelli bianchi e degli occhi azzurri stanchi e con sotto evidenti borse. Mi dice che sono un bravo ragazzo, e un buon allenatore. Crede che con me l'Ørn Horten avrà un gran futuro. Gli dico che spero che abbia ragione, mentre il suo cane, un bassotto piuttosto anziano, mi annusa le scarpe. Lui mi sorride, io lo saluto e mentre mi allontano sento che mi chiama. Mi volto e mi chiede "Ma Egil è tuo fratello?". Deglutisco. "Sì" rispondo. "Il tuo cognome mi diceva qualcosa. Ma di Østenstad ce ne sono tanti in Norvegia, non ne ero sicuro. Beh, sarà anche stato un buon giocatore, ma non lo posso proprio sopportare" dice, ridendo, e si allontana.
    "Siamo in due" mi lascio uscire, sottovoce e a denti stretti. Il vecchio non mi sente, e si allontana col suo bassotto che, mentre pronuncio quelle parole, si volta verso di me.

    E' ora di tornare a casa, l'allenamento di domani in preparazione alla partita non si organizza da solo, e ho un milione di cose da fare. Ma prima devo passare dal supermercato, il frigorifero è vuoto.

  9. #9
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  10. #10
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    Bravo! Stai facendo del grandissimo GDR

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