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Discussione: Italia Vs Macedonia e Albania

  1. #61
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    L’Italia di Ventura in modalità sopravvivenza
    Contro l’Albania servivano prima di tutto i 3 punti. Ma con che spirito arriviamo ai playoff?

    Tra Dunkerque e Dover ci sono circa 76 chilometri in linea d’aria, e per raccontare la storica evacuazione di circa 340.000 soldati britannici durante la Seconda Guerra Mondiale, la cosiddetta operazione Dynamo, il regista Christopher Nolan ci ha impiegato 106 minuti. Tra Brindisi e Scutari, invece, di chilometri ce ne sono di più, circa 206. Come il film di Nolan non è soltanto un film di guerra, ma un un grande racconto sulla sopravvivenza umana, anche Albania-Italia non è stata soltanto una semplice partita ma anche una sfida per la sopravvivenza della Nazionale italiana. In entrambi i casi, non riuscire nell’intento avrebbe probabilmente significato una débȃcle epocale: cioè arrivare al sorteggio per i playoff del prossimo 17 ottobre non da testa di serie, con il rischio di incontrare nazionali del nostro stesso livello tecnico.

    Quella della Nazionale è una vittoria che ci fa tornare a casa con tre punti decisivi: avremo un sorteggio molto più tranquillo, e avremo tempo per risistemare la squadra e le idee. Ma la Nazionale vista in Albania, come quella contro la Macedonia, si lascia dietro una pesante scia di sofferenza: tattica, di gioco, di personalità, di idee.

    Come l’evacuazione di Dunkerque, ci fa guadagnare tempo, e magari ci restituirà anche morale. E, come allora, non possiamo ancora sapere se questa soffertissima vittoria sarà la svolta del nostro percorso: aspettiamoci il meglio, prepariamoci al peggio.

    Nolan riesce a raccontare un evento storico complesso attraverso solo tre storie, che si svolgono in periodi temporali diversi ma ristretti, come se fossero solo tre scene. Allo stesso modo, per raccontare questa Italia possono bastare tre azioni-tipo.

    L’impostazione dalla difesa
    Dopo il 3-4-3 utilizzato contro la Macedonia, Ventura è tornato al 4-4-2, con le coppie di fascia formate da Spinazzola e Insigne a sinistra, e Darmian e Candreva a destra. Come contro la Spagna, l’interpretazione di questo sistema è stata abbastanza passiva: l’Italia ha provato almeno a tenere la linea difensiva più alta per mantenersi compatta in fase di riconquista, ma senza grandi risultati. Le distanze eccessive tra i giocatori in fase di possesso, in parte inevitabili in un sistema di gioco che punta ad allargare le difese avversarie, rendono poi complicato ricompattarsi velocemente.

    Poiché l’Albania non aveva intenzione di controllare il pallone, il vero dilemma dell’Italia non è stato come difendersi, ma come costruire il gioco e trovare linee di passaggio nel mezzo della densità della Nazionale di Christian Panucci, che stava sì interamente dietro la linea del pallone, ma con intelligenza.

    Al dilemma albanese, gli azzurri hanno risposto in modo meccanico, come un robot inceppato: passare dalle fasce, con la ricerca di una giocata che portasse a un cross dal fondo, oppure con un’iniziativa individuale di Insigne; oppure cercare la verticalizzazione classica per attivare il movimento a elastico delle due punte. La densità albanese, però, è riuscita a disattivare entrambi gli automatismi e il possesso italiano si è trasformato in uno sterile giro palla sotto ritmo, con l’esito di escludere i due centrocampisti centrali (Gagliardini e Parolo) dal gioco. Solo la catena di destra, con i movimenti interno-esterno di Candreva e Darmian, è riuscita a funzionare discretamente.



    Il quadrilatero di impostazione, quello formato dai due centrali di difesa e di centrocampo, non è riuscito a far uscire il pallone pulito dalla difesa con fluidità: Parolo e Gagliardini erano sempre ostinatamente piatti, non riuscendo quasi mai a posizionarsi su linee diverse per dare maggiori opzioni al portatore. L’Albania ha alzato Sadiku nella zona di Bonucci, per costringerlo allo scarico laterale per Chiellini, che aveva molto spazio per la conduzione ma nessuna opzione di passaggio davvero pericolosa. L’opzione migliore, a quel punto, diventava lo scarico orizzontale per Gagliardini.

    L’Italia ha fatto molta fatica a posizionare uomini dietro la linea di pressione avversaria. Da una parte perché in fase offensiva i quattro giocatori (cioè le due ali, Insigne e Candreva, e le due punte, Immobile e Eder) si estendevano in ampiezza. Dall’altra, perché la linea di passaggio per Insigne, che provava a farsi trovare nel mezzo spazio, era spesso schermata dagli avversari.



    In questa immagine l’Albania riesce a schermare anche i due centrocampisti centrali, escludendoli dal gioco. Bonucci non ha linee di passaggio interessanti e alla fine sceglie l’apertura in fascia per Spinazzola.

    L’Italia, insomma, ha occupato la metà campo dell’Albania ma in maniera statica e con le idee tutt’altro che chiare. La difesa albanese non ha dato profondità per l’elastico dei due attaccanti e, una volta disinnescato quel meccanismo, l’Italia non ha altre idee su come arrivare alla porta avversaria, incapace di adattarsi al contesto.

    L’attacco in campo aperto
    Siccome ci restano altre due decisive partite da giocare prima di poter pensare al Mondiale russo, bisogna però anche concentrarsi sui nostri punti di forza, che ci sono e ogni tanto ci regalano qualche momento di entusiasmo.

    La Nazionale di Ventura, in particolare, si trova a suo agio quando può attaccare in campo aperto o quando l’avversario concede spazio tra le linee: e cioè quando può distendersi in lungo e largo, con i 4 giocatori offensivi in linea per garantire ampiezza, e i due attaccanti pronti al doppio movimento, uno indietro e uno avanti.

    Qui ad abbassarsi è Eder, mentre Immobile attacca la profondità: in questa immagine l’Albania è già spacciata, perché non è riuscita a orientarsi, e ci ha lasciato profondità. Il lancio di Bonucci è pressoché perfetto, e riesce a trovare Immobile nonostante i difensori albanesi siano scappati all’indietro a palla scoperta, ma costringe l’attaccante della Lazio a calciare leggermente decentrato, sull’esterno della rete.



    È la dimostrazione che la Nazionale funziona solo se si attivano determinati meccanismi memorizzati, che ormai recita sin dal periodo Conte (d’altra parte, è anche per questo che è stato scelto Ventura, uno dei principali maestri del tecnico del Chelsea).

    Il problema è che in un anno e mezzo non è stato aggiunto praticamente nulla che possa rendere questa Nazionale adattabile all’avversario. Le giocate memorizzate diventano automatismi che si ripetono stancamente a prescindere da interpreti e contesto, come un bot che risponde con la stessa stringa a domande molto diverse. Il percorso involutivo della Nazionale sembra coinvolgere anche giocatori in forma strepitosa: Immobile, praticamente inarrestabile in campionato con la maglia della Lazio, è apparso inoffensivo in azzurro, per non parlare ovviamente di Insigne.

    La mancata resa dei giocatori, soprattutto quelli in grande forma, è il classico indice di qualcosa che non va nella struttura: perché l’organizzazione nel calcio dovrebbe esaltare i singoli, non deprimerli.

    Arrivare al cross
    Sembrava molto difficile venire a capo di una partita che Panucci aveva preparato diligentemente, con gli spazi chiusi in zona centrale e i raddoppi sulle fasce, le linee serrate e lo scivolamento orizzontale sui cambi di gioco degli azzurri.

    Alla fine il gol è arrivato con lo strumento statisticamente meno efficace, il cross: soluzione che è sistematica, all’interno dei principi di gioco di Ventura, e di cui a volte forse abusiamo (anche per le caratteristiche dei giocatori).

    Quasi a sorpresa, è stato Spinazzola ad effettuare il cross dalla sinistra, e Candreva, autentico re del fondamentale (8 cross anche ieri sera), a segnare, approfittando degli errori della difesa albanese: Veseli e Mavraj si contendono Immobile, ma non si accorgono di Eder alle loro spalle, controllato da Agolli. I difensori albanesi sono tutti molto attenti al pallone e non si girano mai a guardare gli avversari: e così Candreva può ricevere il pallone, dopo il tentativo di Agolli, libero di stoppare e calciare con tutta la forza sotto l’incrocio dei pali.

    Almeno abbiamo attaccato l’area nel modo giusto, e qui effettivamente ci sono tre giocatori a ridosso dell’area piccola e altri due appena dietro: certo, l’ideale sarebbe attaccare il cross in movimento e non aspettarlo, ma in questo caso è andata bene così.

    Sopravvivere, fino a quando?
    Dopo il vantaggio l’Italia si è chiusa su se stessa, quasi in attesa di essere colpita, impaurita dalle sue stesse aspettative: e nuovamente è apparsa passiva nel difendere, invitando l’Albania fin dentro alla propria area. Per fortuna quello albanese è uno dei peggiori attacchi d’Europa (6 gol in 8 partite – più 4 gol contro il Liechtenstein tra andata e ritorno), e non è riuscito a creare grandi pericoli.



    L’inutile appiattimento tra Gagliardini e Parolo è ben visibile anche nella mappa dei passaggi, insieme al rombo di progressione sulla sinistra (troppo basso, però, considerando la capacità di difesa posizionale albanese) e l’isolamento delle due punte: l’Italia non è quasi mai riuscita ad andare in verticale, tranne nell’occasione del lancio di Bonucci. Fonte: Wyscout

    Non abbiamo ottenuto grandi risposte dalla Nazionale, se non il risultato, e con fatica, con tanti degli errori che avevamo già visto nelle ultime partite. La distanza tra difesa e centrocampo in fase di ripiegamento, che unita alla scarsa pressione permette agli avversari di servire spesso il compagno dietro la linea azzurra; il vuoto a centrocampo, con le spaziature ampie tra i centrali e la piattezza che rende poco fluida la manovra; l’isolamento delle due punte, che teoricamente dovrebbe permettere di andare in due contro due con i centrali di difesa avversari, e che invece sta escludendo gli attaccanti dal gioco (ieri Immobile ha toccato il pallone solo 22 volte, meno di Buffon e Berisha).

    L’involuzione azzurra è preoccupante, perché stavolta non sembra avere alcuna giustificazione (ormai anche la condizione fisica dovrebbe essere uguale per tutti). L’amichevole in Olanda, in cui si era vista una squadra decisamente più proattiva, è di marzo, ma sembra passato un secolo.

    Le qualificazioni sofferte fanno parte della storia della nostra Nazionale, così come il magico rapporto degli azzurri con i risultati, soprattutto nei momenti che contano: e infatti, nonostante una prestazione deludente, la vittoria che serviva è arrivata. Non si può pensare però di presentarsi ai playoff così robotici e privi di soluzioni come contro Macedonia e Albania, cullandoci semplicemente nella mistica italiana del risultato: per vincere servono i migliori giocatori o una migliore organizzazione, e molto spesso entrambi. Al momento non abbiamo nessuno dei due, anche perché il sistema di gioco influenza il rendimento dei giocatori: la speranza è che queste due brutte prestazioni possano servirci per lavorare sui difetti e per trovare un sistema che riesca almeno ad esaltare la tecnica individuale dei nostri giocatori migliori. Tempo per rivoluzioni semplicemente non c’è.

    Il film di Nolan non ha bisogno di puntualizzare ciò che succederà dopo l’evacuazione di Dunkerque, perché quella è storia. La storia della Nazionale italiana verso i Mondiali del 2018, invece, è ancora tutta da scrivere, e si spera che abbia il lieto fine a cui siamo abituati da circa 60 anni.
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  2. #62
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    non ho guardato la partita e devo dire di non aver visto quasi nulla nemmeno delle altre, dall'analisi direi che è incontestabile che quelle che sono le capacità dei singoli non vengono poi esaltate a livello nazionale, altrettanto vero il fatto che questo sia assolutamente in carico al CT non certo al singolo giocatore

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