E' passato un mese dall'inizio del campionato. 8 partite, di cui 2 di coppa.
Il morale è abbastanza alto ma i risultati sono altalenanti.
In campionato abbiamo 3 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte, di cui una immeritatissima arrivata nei secondi finali di una gara dominata. Ma tant'è, il calcio è anche questo, e le partite vanno chiuse. Questo ruolino di marcia finora ci vale un 6° posto, che non è abbastanza per soddisfare la dirigenza, ma siamo appena agli inizi. In coppa siamo arrivati al terzo turno, obiettivo minimo della società, ci aspetta il Sarpsborg ora, compagine di Tippeligaen. Usciremo, ma tant'è, la coppa non ci interessa.

A Horten è un mite pomeriggio di maggio, ho lasciato ai giocatori il giorno libero oggi e ho deciso di rilassarmi con una passeggiata su Lystlundveien, attraverso il parco, non lontano da casa mia in C. Andersens Gate. Non c'è nessuno in giro, sono le 9 del mattino e il sole splende sull'erba, creando bizzarri giochi di luce con la rugiada che si è depositata sull'erba nella notte. Mi accendo una sigaretta. Anni fa mi ero ripromesso di smettere, ma non ci ho mai pensato seriamente.
Mi siedo su una panchina e chiudo gli occhi mentre fumo. Sento avvicinarsi un paio di ragazzi che fanno jogging, mi passano davanti noncuranti e se ne vanno.
Come è strana la vita a volte. Quando ero giovane, mi dicevano tutti che avrei avuto un futuro radioso nel calcio, che ero molto più bravo di mio fratello. Avevo solamente otto anni, ed Egil quattordici. Giocavamo entrambi nelle giovanili dell'Haugesund, seppur in categorie diverse. Lui era un attaccante, era bravo sui colpi di testa perché era il più alto di tutta la squadra. Segnava tanti gol. A otto anni io non avevo ancora un ruolo ben preciso, ricordo che il mio allenatore mi aveva detto "tu giochi in mezzo", ma io non riuscivo a liberarmi dell'istinto di andare dove c'era la palla. Quante sgridate mi ero preso, me le ricordo ancora quasi tutte.

Avevano iniziato a farmi giocare insieme a quelli più grandi, di dieci, undici anni. Soffrivo maledettamente sul piano fisico, non sono mai stato un gigante e anche oggi, a 36 anni, raggiungo a fatica il metro e ottanta. Però mi ricordo che avevano tutti paura di me, di questo ragazzino di otto anni che palla al piede era testa e spalle sopra gli altri. All'epoca non me ne rendevo conto ma credo che mio fratello fosse molto geloso. Non sopportava che considerassero un bambinetto di otto anni più bravo di lui, credo che nello spogliatoio lo prendessero in giro, gli adolescenti sanno essere terribili, e credo che lui fosse molto frustrato per questo. Anche se poi è andata come è andata e la carriera migliore l'ha avuta lui.

Riapro gli occhi, la sigaretta ormai si è consumata fino al filtro senza che io ne facessi un solo tiro. La getto nel cestino vicino alla panchina, mi rialzo e ne accendo un'altra. In lontananza vedo un signore che porta a passeggio il cane, viene verso di me. Quando siamo a un paio di metri di distanza mi riconosce e mi saluta. Avrà una settantina d'anni, con pochi capelli bianchi e degli occhi azzurri stanchi e con sotto evidenti borse. Mi dice che sono un bravo ragazzo, e un buon allenatore. Crede che con me l'Ørn Horten avrà un gran futuro. Gli dico che spero che abbia ragione, mentre il suo cane, un bassotto piuttosto anziano, mi annusa le scarpe. Lui mi sorride, io lo saluto e mentre mi allontano sento che mi chiama. Mi volto e mi chiede "Ma Egil è tuo fratello?". Deglutisco. "Sì" rispondo. "Il tuo cognome mi diceva qualcosa. Ma di Østenstad ce ne sono tanti in Norvegia, non ne ero sicuro. Beh, sarà anche stato un buon giocatore, ma non lo posso proprio sopportare" dice, ridendo, e si allontana.
"Siamo in due" mi lascio uscire, sottovoce e a denti stretti. Il vecchio non mi sente, e si allontana col suo bassotto che, mentre pronuncio quelle parole, si volta verso di me.

E' ora di tornare a casa, l'allenamento di domani in preparazione alla partita non si organizza da solo, e ho un milione di cose da fare. Ma prima devo passare dal supermercato, il frigorifero è vuoto.