Finalmente si torna in Italia...grande!![]()
Quello che trovò a Firenze era descritto da tutti come “la fine di un ciclo”, a detta di molti il migliore negli ultimi 50 anni, che aveva visto la Fiorentina finire sempre tre le prime 5 del campionato, vincendo addirittura lo scudetto nel 2017. La stagione appena conclusa invece, aveva decretato “la fine di un ciclo” con la squadra che si classifcò ottava restando fuori da tutte le competizioni europee.
Ma cosa si fa quando arriva “la fine di un ciclo”? Sono domande ricorrenti nel mondo del calcio, periodicamente la stampa parla della “fine di un ciclo” senza mai stare a sottilizzare sul perché o sul per come. Se si fosse trattato di scelte poco oculate, come se affidarsi sempre agli stessi uomini, alla stessa ossatura di squadra per un decennio fosse cosa normale, come se questo tipo di gestione fosse salutare, come se non fosse fisiologico che, una volta che gli elementi che hanno fatto sì che si instaurasse quel ciclo siano andati avanti con l’età, ci si ritrovasse con in mano un pugno di mosche.
Vittorio si stupiva ogni volta quando si parlava di cicli. Non era il suo modo di vedere le cose, non giustificava il fatto che mentre alcune squadre restano costantemente ai vertici altri vedevano finire i loro cicli. Inoltre Vittorio non sapeva che fare di fronte alla fine di un ciclo. Cosa si aspettava da lui la gente. Semplicemente sfasciare tutto e ripartire da zero?
Al contrario di Vittorio, la dirigenza aveva le idee chiare: ringiovanire la squadra e far sì che un nuovo ciclo abbia inizio. Al mister veniva data carta bianca. Aveva 3 mesi di tempo per potare i rami secchi e metter su una squadra competitiva per il prossimo campionato di Serie A.
Finalmente si torna in Italia...grande!![]()
A Vittorio bastò una settimana per ridurre la rosa dei calciatori da trattenere a soli 14 elementi, che per ora potevano ancora essere utili, gli altri finirono sul mercato o svincolati a scadenza di contratto.
Promosse dalla squadra primavera il portiere Liridon Muça ed il trequartista Daniele Zerbini, ancora comunque lontani dal giro della prima squadra.
La difesa sarebbe sostanzialmente rimasta invariata, con William e Ponce sulle fasce e Masaracchio e Guarino centrali. Severs fu ritenuto ancora utile, almeno come riserva
5 i nomi da salvare anche a centrocampo, per quanto, a parte Adamo e Gouveia, non si sarebbe certo rinunciato a cederli se ce ne fosse stata occasione. Xhaka in particolare in quel periodo era il beniamino dei tifosi, e cederlo poteva essere una mossa controproducente.
Il reparto offensivo rimase sostanzialmente inalterato. Confermati Hassan, Rahmati e Puscas, mancava solo una quarta punta per completare la rosa.
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mmm.. il viola non ti dona..![]()
Per completare la rosa ci vollero molti sforzi in sede di mercato, ma già a metà luglio Vittorio ebbe a disposizione la rosa completa.
In porta arrivò dal Palermo Lee Dae Hwan, che avrebbe difeso i pali della formazione viola, mentre come riserva arrivò, a parametro zero dallo Zwolle, il macedone Dimitrevski
Dalla Lazio arrivò la riserva per William, Alessandro Lombardi, mentre dalla Germania, rispettivamente da Gladbach e Stoccarda, i due centrali Lukas Straub e Marcel Hohn. Lapo Andreini, terzino sinistro proveniente dal Twente, ma cresciuto a Firenze, arrivò per fare turnover con Ponce, mentre Nicolae Vasile arrivava dal Torino… beh, per fare numero.
[Imgur](http://i.imgur.com/k39VNqG.jpg)
Per rinforzare il centrocampo, arrivarono il siriano Dahoud dalla Roma, e il maliano Kamissoko dall’Ajax, insieme ai giovani Ozturk, Magalhanes e Graf, rispettivamente da Friburgo, Benfica e Bayern Monaco
Infine per completare la rosa degli attaccanti, fu ingaggiato a parametro zero Nicolò Grillo, attaccante cresciuto nella Roma, che dopo una breve parentesi all’Atletico Madrid e cinque stagioni a Napoli, arrivò a Firenze a giocarsi la grande occasione.
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Battere la Bulgaria e giocarsela contro la Spagna, era questo quanto richiesto alla nazionale Norvegese per sperare nell’approdo ai Playoff per la Qualificazione ai mondiali USA 2026. La partita contro la Bulgaria si presentava molto equilibrata. Il primo tempo finì 0-0. La situazione si sbloccò ad avvio di ripresa, quando Gjoystdal arrivò per primo sul corner battuto da Sakor. Dopo il gol del vantaggio la partita si mise in discesa. Le reti di Sakor e Berisha fissarono il risultato sullo 0-3.
Contro la Spagna la Norvegia non aveva nessuna possibilità di vittoria. Lo sapevano tutti, e a complicare le cose ci si misero anche gli infortuni di Gjoystdal e Agnes Konradsen, ma mister De Santo non partiva sconfitto. Nei tre giorni che aveva a disposizione per preparare la partita, organizzò un fortino davanti alla porta difesa da Rossbach. Odiava dover giocare di catenaccio e contropiede, ma in alcune situazioni era l’unica possibilità per riuscire a cavarne qualcosa. La partita andò avanti per 90’ con i tentativi degli iberici che continuavano a schiantarsi ora sul corpo di Hoibraten o Strandberg, i due esperti centrali che Vittorio aveva scelto per il match, ora tra le braccia di Rossbach. Dall’altro lato De Gea sembrava non aver intenzione di cedere ai timidi contropiede dei vichingi, Bytyqi prima e Bohn poi non riuscivano a trovar modo di gonfiare la rete, Sakor e Berisha non riuscivano a trovare gli spazi giusti per creare occasioni pericolose. La maggior parte dei tiri erano da lontano. Allo scoccare del 90’ l’arbitro assegnò due minuti di recupero e proprio in quel momento Stengel, da fuori area, disegnò una parabola insidiosissima diretta all’incrocio dei pali. De Gea dovette dare il meglio di se per deviare quella palla in corner. In quel 91 minuto successe di tutto… La Spagna doveva difendere il pari per ottenere il secondo posto e l’accesso ai playoff, la Norvegia aveva l’ultima occasione per gridare al miracolo. Tra spintoni e baruffe in area, Berisha preferì provare a tirar fuori dal cilindro la magia che poteva dargli qualche settimana di notorietà. Calciò il calcio d’angolo direttamente in porta con una parabola che ancora oggi non si capisce da dove sia venuta fuori. La palla a rientrare era diretta al palo lontano… ma ancora una volta De Gea si superò e riuscì ad alzare il pallone sopra la traversa.
Quei secondi che passarono mentre Berisha si presentava alla bandierina opposta sembravano interminabili. La tensione in area era sempre maggiore. L’atmosfera che si respirava era quella che Vittorio aveva vissuto tante volte da calciatore, sia da un lato che dall’altro.
Pochi momenti confusi, la parabola che arriva in area in mezzo ad un mischione. La palla che non vuole saperne di uscire e che salta da una parte all’altra. La zampata di mezzo stinco. Il pallone impazzito che passa tra una selva di gambe. Il compagno di squadra smaliziato che passa davanti alla traiettoria del portiere. L’arbitro fischia e indica il centrocampo. La panchina salta e si trova tutta in campo con le braccia alzate mentre gli avversari circondano l’arbitro accusandolo di non aver visto questo o quello. Ecco gli ingredienti della sfangata!
Che sia in terza categoria o ad una finale dei mondiali gli ingredienti sono sempre gli stessi, le emozioni anche. Sono le partite vinte in questo modo che rendono il calcio uno sport meraviglioso!
Arrivò il momento della verità. Il sorteggio dei playoff per gli ultimi 4 posti disponibili per i mondiali USA 2026 nella sezione UEFA accoppiarono Norvegia e Danimarca. La doppia sfida non smentì i pronostici e così, furono i danesi a qualificarsi grazie soprattutto alla vittoria a Oslo. Niente da fare dunque per la Norvegia di Vittorio, che rassegnò le dimissioni da CT nonostante gli attestati di fiducia da parte della federazione.
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La prima esperienza di Vittorio nel calcio che conta fu subito memorabile. La sua Fiorentina era uno schiacciasassi. La squadra entrò subito in trance agonistica e più i risultati arrivavano più cresceva il morale e l’entusiasmo durante gli allenamenti. Al giro di boa la Fiorentina si presentò con 38 punti, la seconda miglior difesa del campionato e, soprattutto, la casellina delle sconfitte ancora ferma sullo zero. I viola si assestavano saldamente al terzo posto, con una partita da recuperare contro un sorprendente Benevento. Quegli 8 pareggi, soprattutto quelli con Udinese Napoli e Cesena, lasciavano l’amaro in bocca. Però era certo che Vittorio voleva rimanere ai piani alti della classifica per poter arrivare a giocarsi finalmente le competizioni europee con l’ambizione di portare a casa qualche trofeo.
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Il mercato invernale vide la squadra di Vittorio ancora una volta molto attiva. In questa sessione però il mister si mosse principalmente per dare forma al disegno che aveva in testa: costruire un futuro alla Fiorentina. Infatti nessuno dei colpi messi a segno finì sulle prime pagine dei quotidiani, e spesso non gli fu dedicato neanche un trafiletto in qualche pagina interna, questo perché Vittorio investì molto sulla formazione primavera, per poterla trasformare in una fucina di giovani talenti che nel corso degli anni avrebbe dovuto rimpolpare con continuità la prima squadra.
Sul mercato in uscita, partirono Slavchev e Fiorucci, il primo si accasò in Cina al Ghuangzhou Evergrande, e il secondo restò in Italia nelle fila del Sassuolo. Così tra i vari acquisti fatti per la formazione primavera, una vecchia conoscenza del mister, che lo aveva già voluto all'Austria Wien, trovò spazio in prima squadra, fornendo prestazioni convincenti al punto da entrare subito nel giro dei titolari.
In quegli stessi mesi l'andamento in campionato continuava ad essere eccezionale, così alla ventiseiesima giornata i viola ebbero l'occasione di sorpassare, nello scontro diretto, i bianconeri della Juve. Le due squadre si presentarono alla vigilia del match a pari punti, e l'impressione comune era che in quella partita si sarebbero decise le sorti del campionato.
Intanto andava avanti anche la Coppa Italia, dove la squadra di mister De Santo continuava a restare imbattuta, anche se proprio all'andata della semifinale, e proprio contro la Juventus, Vittorio subì la prima sconfitta stagionale. La gara di ritorno sembrò essere chiusa a quindici minuti dalla fine, quando Kamissoko segnò la rete del 2-0, ma la doppietta di Besson durante gli ultimi dieci giri di lancetta complicarono le cose, e sembrarono chiudere i giochi. Ma dai piedi di Grillo, in pieno recupero, arrivò la rete che allungò di 30 minuti le speranze dei viola. Durante i supplementari fu ancora Nicolò Grillo a incornare in rete il pallone che era partito dai piedi del cileno Ponce, e che chiuse definitivamente il discorso. La Fiorentina con una emozionante rimonta aveva conquistato la finale di Coppa Italia.
Negli stessi giorni il disegno che aveva in testa Vittorio iniziò a prender forma, portando la squadra primavera a vincere per la decima volta il Torneo di Viareggio, raggiungendo la Juventus e sorpassando il Milan nel computo totale delle vittorie
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